di Giuseppe Ippolito
Euraco è l’antica denominazione del Monte San Calogero, complesso rilievo carbonatico sulla costa settentrionale siciliana tra i fiumi Torto e San Leonardo. Porta Euracea è ancora oggi l’uscita dalla città di Termini che si apre verso il monte. Gli abitanti delle piane frequentano da sempre il San Calogero e i rilievi limitrofi per attività agricole e pastorali e per qualche tempo anche per un percorso devozionale alla chiesa dedicata al santo omonimo che sorgeva proprio sulla cima e di cui oggi non resta quasi nulla. Al posto del santuario è una piccola popolazione di antenne radio, alcune delle quali montate e smontate periodicamente in occasione di manifestazioni automobilistiche sulle strade di montagna, eredi del filone della targa Florio. La possibilità di viaggiare intorno senza ostacoli delle onde radio è proporzionale all’ampiezza del panorama che si gode dalle cime e dalle creste del massiccio. Il panorama sulla costa, sulle valli, sui rilievi intorno, si accompagna allo straordinario scenario delle rocce verticali, dei pascoli, della macchia, dei lembi di bosco e la sensazione continua di essere in un luogo non comune e non semplice. Monte San Calogero ha un contingente vegetale endemico di una quarantina di taxa su oltre seicento censiti ed è una estesa area seminaturale con zone di maggiore pregio naturalistico (subnaturali) sulle superfici meno accessibili. Dal 1998 è istituita a tutela di questo territorio la Riserva Naturale Orientata Monte San Calogero gestita dall’Azienda Foreste.
La visita
L’ascesa classica al Monte San Calogero si svolgeva un tempo da Termini Imerese con un percorso lungo ed articolato. Attraversato il Vallone Barratina, poco dopo la Porta Euracea, si procedeva verso sud tra orti e uliveti aggirando i contrafforti rocciosi verticali del versante occidentale e passando in successione il Piano della Pernice e il Piano S. Maria fino alla Masseria omonima. Oggi si preferisce raggiungere il Piano S. Maria dalle campagne di Caccamo, antiche mulattiere, oggi in parte carrabili, che portano in Contrada San Nicola passando dalla piccola edicola dedicata alla Madonna di San Nicola e proseguono fino a Casa Ribaldo sul Piano S. Maria. Per una partenza a piedi da Caccamo il percorso più logico attraversa la Contrada San Rocco, le pendici meridionali di Monte Rotondo, Coste Piane, Casa Romeo e ancora Casa Ribaldo. Alcune vecchie guide consigliano di seguire la traccia dell’acquedotto dell’Acquanova, per contrada Pianazzo e Contrada Santa Maria. Poco dopo le Case Ribaldo si stacca a destra una vecchia mulattiera dal fondo roccioso che taglia in obliquo il versante nord ovest di Monte Dell’Uomo tra alberi e arbusti, e consente di raggiungere i pascoli di quota intorno a Rocca Fera. A circa metà salita è un abbeveratoio in pietra. Dai pascoli delle creste si prosegue verso Nord dove un sentiero a tornanti, percorre l’ultimo tratto, panoramico e suggestivo, fino alla cima. Altre vie d’accesso che ricalcano la storica frequentazione umana di questi rilievi partono da Sciara sul versante sud est dove una mulattiera raggiunge la contrada Sonatore e prosegue per sentiero tra i pizzi M. Pignatazzo, M. Presepio e M.S. Nicasio fino all’abbeveratoio sorgente di quota 950. Sui falsi piani sud orientali si prosegue alla falde di Monte dell’Uomo per riprendere l’ultimo tratto del percorso prima descritto. Da Contrada sonatore è possibile raggiungere anche la Rocca di Mezzogiorno, la cima più meridionale della catena.Un’altra mulattiera parte anora da Sciara e si mantiene sul versante orientale raggiungendo Portella del Lupo, tra il sito archeologico delle Mura Pregne e la cima del Monte San Calogero.
La vegetazione
Le pendici basse dei rilievi sono caratterizzate dalle coltivazioni di ulivo e di ortaggi, questi ultimi solo in quelle aree dove è possibile disporre di acqua sufficiente per l’irrigazione. Le colture hanno sostituito macchia e foresta mediterranea rappresentata oggi dalle espressioni impoverite della serie vegetazionale. Anche la vegetazione naturale dei versanti più in quota, querceti caducifogli e sempreverdi, è stata ridotta a poche, ma significative, superfici dalla secolare destinazione a pascolo dell’intero rilievo. In alcuni valloni e depressioni resistono lembi di copertura boschiva che consentono di fare una ricostruzione del paesaggio naturale e di stabilire un punto di equilibrio per un ipotetico processo di naturalizzazione. Versanti ben conservati dal punto di vista vegetazionale sono quelli molto acclivi con rocce affioranti dove domina il leccio. Particolarmente interessante per questo aspetto è il versante settentrionale dove sui conoidi di deiezione stabilizzati cresce una lecceta (Quercus ilex) cespugliosa mentre in parte lo stesso versante è occupato da un bosco artificiale a Pinus halepensis ed Eucalyptus sp.. Molto più in basso su suolo profondo, ricominciano frutteti e uliveti. Nei versanti meridionali e orientali il leccio è accompagnato da orniello (Fraxinus ornus), dall’Anagyrs phoetida, leguminosa cespugliosa perenne e da piante lianose che ritroviamo anche in altri ambienti come la Clematis cirrhosa (ranunculaceae), il Tamus communis (dioscoraceae), e la Smilax aspera, liliacea spinosa meglio nota come stracciabraghe. Poche le stazioni con querce caducifoglie del ciclo della roverella, concentrate in quota e dove la morfologia consente l’accumulo di un sufficiente spessore di suolo. Sono boschi molto radi, interessati ancora dal pascolo intensivo e appartenenti all’associazione vegetale Oleo-Quercetum virgilianae. Alla base dei versanti orientali e meridionali, su suolo interessato da locale copertura arenaceo silicea, alcuni autori segnalano la presenza di esemplari isolati di sughera sulle praterie di ampelodesma. Aspetti preforestali arbustivi o fruticeti, si riscontrano ben estesi su tutti i versanti del massiccio del San Calogero in quelle aree da tempo disboscate, ma oggi non più interessate dalle attività agricole. Queste superfici rappresentano il futuro della riserva perché una volta tutelate evolveranno in breve tempo negli stadi della serie vegetazionale di appartenenza creando i presupposti per il ritorno del bosco. Fruticeti più o meno complessi sono sui versanti della catena di rilievi di circa 1100 metri di quota che va dalla cima del San Calogero fino alla Rocca di Mezzogiorno, in contrada San Nicola, e sui versanti di Monte Rotondo. Insieme allo Spartium junceum e alla Calicotme infesta, (ginestra e ginestra spinosa), costituiscono lo strato arbustivo dei fruticeti anche il lentisco (Pistacea lentiscus) la Phillyrea sp., l’alaterno (Rahmnus alaternus), e ancora l’Anagyris phoetida. Importante elemento del paesaggio vegetale sono le piante rupestri: Dianthus rupicola (garofano a fioritura rosa ed estiva), Iberis semperflorens, Brassica rupestris, Scabiosa cretica, Euphorbia bivonae, Ceterach officinarum, piccola felce che cresce tra le fessure e Capparis spinosa (cappero). In ogni stagione queste piante si alternano in discrete fioriture. Splendidi sono anche i cespugli sferici dell’Euphorbia dendroides degli ambienti semirupestri (con una discreta quantità di suolo tra le rocce) che crescono localmente insieme all’Artemisia arborescens, pianta di solito di distribuzione limitata , ma che diviene molto abbondante in aree ruderali o interessate nel passato da movimenti di terra. Le rocce verticali o strapiombanti sono spesso magnificamente ammantate di edera.
La fauna
Tra gli uccelli stanziali è facile osservare in volo il falco pellegrino insieme alle specie rapaci più diffuse in Sicilia come le poiane e i gheppi. Segnalato anche il corvo imperiale, il passero solitario, lo Zigolo nero e solo di passaggio l’aquila reale. Tra le rocce in mezzo alle zone agricole è segnalata la nidificazione del barbagianni, rapace notturno dal piumaggio molto chiaro. Tra i migratori che frequentano il San Calogero in primavera e in autunno si annoverano gli “africani” rigogolo ed upupa oltre a balie e quaglie. Al suolo è possibile incontrare gli aculei dell’istrice, soprattutto in prossimità delle cavità e delle gallerie dove questi animali usano rimanere immobili durante il giorno. La pelle delle mute segnala la presenza dei serpenti e pare che nel territorio della riserva quasi tutti i rettili siciliani siano rappresentati. Ci sono sicuramente il gongilo, il biacco e la vipera. Le volpi un tempo potevano contare per la loro alimentazione onnivora e versatile anche su lepri e conigli, ma sembra che le prime siano divenute oggi molto rare. Interessante anche l’entomofauna, in primavera volano saltano e camminano numerosi coleotteri, ortotteri, imenotteri, lepidotteri, emitteri e odonati attratti dalla fioritura delle numerose piante erbacee ed arbustive. Gli insetti nutrono un grande numero di piccoli uccelli e di rettili. Tanti e fondamentali per la rete alimentare e per l’intero ecosisistema sono anche i piccoli roditori. Un uccello che da molti anni non è più stato avvistato da queste parti è il capovaccaio che cibandosi prevalentemente di animali morti è legato come il grifone all’abbondanza di erbivori selvatici pascolanti oppure ad un modello di pastorizia oggi in disuso, che lasciava sul territorio i resti degli animali morti. I pascoli di quota 400 s.l.m., del versante nord occidentale del Monte San Calogero, conservano ancora due toponimi: “Piano della Pernice” e “Vallone della Pernice” che ci riportano alle vicende di un altro uccello un tempo molto abbondante ed oggi quasi scomparso: L’Alectoris graeca, la coturnice, detta “pirnici” in dialetto siciliano. L’abbondanza regionale di questo uccello era legata al metodo tradizionale di coltivazione dei cereali che espandevano il territorio adatto all’alimentazione e alla riproduzione della specie. Con il cambio delle tecniche colturali del grano e soprattutto con l’uso estensivo di diserbanti e insetticidi è iniziato il suo l’inarrestabile declino. Una accorta politica di ripristino e recupero ambientale può consentire il parziale ritorno di questa o di altre specie un tempo presenti.
Le rocce
Il rilievo di Monte San Calogero è dominato da rocce carbonatiche i cui sedimenti si sono accumulati nel corso del mesozoico in un ambiente di bacino marino relativamente profondo, il cosiddetto Bacino Imerese. A parziale e localizzata copertura di queste rocce si riscontrano depositi molto più recenti, oligocenici, costutuita da arenarie silicee e argille del Flysch Numidico. Una curiosità geologica sono i cristalli di fluorite segnalati nella zona di Poggio Balate, la cui genesi è attribuita alla risalita di fluidi idrotermali.
La presenza dell’uomo
La tanto documentata storia della piana di Imera, teatro dello scontro tra il mondo greco e quello punico intorno al quarto secolo a. C., non poteva non investire anche i rilievi del San Calogero con tracce di presenza umana ancora più antiche e poco conosciute. Ad una piccola città indigena sono attribuiti da alcuni autori i resti di murature tuttora visibili in contrada Cortevecchia, sul versante Nord Est del Monte Castellaccio, caratterizzati da pietre calcaree scalpellate. I locali decantano con stupore la solidità di queste strutture. Impressionanti per la loro mole sono soprattutto le mura megalitiche, dette Mura Pregne. Di queste mura purtroppo non rimane che un breve tratto che chiude un passaggio tra due pareti di roccia. Il tratto è lungo venti metri, alto sette e largo quattro. Nelle vicinanze, all’ombra di carrubi secolari, troviamo una struttura a dolmen cui alcuni autori attribuiscono la funzione di sepolcro. E’ costituito da due grosse lastre di roccia basali disposte di taglio, una poggiata a tetto sulle prime due ed una quarta inclinata a chiudere il lato opposto all’ingresso. Tracce di vita preistorica furono trovate ancora nel versante orientale del monte all’interno della Grotta del Drago, non più esistente per l’attività estrattiva di una cava. Non è difficile comprendere la scelta di questo sito per un insediamento umano considerando le sorgenti d’acqua disponibili, i fertili versanti, i pascoli e la conformazione facilmente difendibile del territorio. Le stesse caratteristiche alimentano ancora oggi una attività agricola condotta a livello familiare. Nel recente passato sono state coltivate purtroppo anche cave di materiale lapideo che hanno cancellato per sempre importanti testimonianze archeologiche. Per preservare quello che rimane una vasta area del versante nord orientale di Monte San Calogero è posta oggi sotto vincolo archeologico. Per un lungo periodo di tempo tutto il versante orientale del rilievo è appartenuto in Feudo al Principe Notarbartolo di Sciara di cui ancora oggi è possibile leggere la sigla P.S. incisa sulle rocce lungo i confini. L’ultimo atto è l’istituzione della Riserva Naturale, evento importante che lascia ben sperare per una migliore tutela e valorizzazione del sito, per un freno all’edilizia invadente e ad altre aggressioni che non mancano di minacciare i notevoli pregi naturalistci, paesaggistici e culturali dell’area.